Il professor Annibale Salsa ha insegnato Antropologia filosofica e Antropologia culturale presso l’Università di Genova fino all’anno accademico 2007. Ha condotto numerosi studi e ricerche su tematiche relative alla genesi ed alla trasformazione delle identità delle popolazioni delle Alpi. Noto il suo ruolo di Presidente alla guida del Club Alpino Italiano dal 2004 al 2010. Per la Fondazione Dolomiti UNESCO è membro del Comitato Scientifico. Abbiamo coinvolto il professor Salsa per una riflessione sull’evento meteorologico estremo che ha colpito le Dolomiti nei giorni scorsi.
Riflessioni sulla catastorfe naturale in terra dolomitica
a cura di Annibale Salsa
La catastrofe ambientale che si è abbattuta sull’area dolomitica nel pomeriggio del 29 Ottobre 2018 ha impresso un duro colpo al contesto paesaggistico del Patrimonio Mondiale Dolomiti. Gli schianti di alberi secolari, soprattutto aghifoglie sempre verdi (abeti rossi, abeti bianchi), hanno modificato quasi irreversibilmente quell’immagine del paesaggio delle Dolomiti che associa la fascia sommitale rocciosa (i Croz) alle pendici verdi dei boschi. Si tratta di una “unità paesaggistica” che non può essere frantumata in tanti segmenti se non dal punto di vista delle diverse specializzazioni disciplinari di tipo naturalistico. Infatti, sotto il profilo della percezione soggettiva ed inter-soggettiva dell’insieme orografico, essa costituisce un tutt’uno inscindibile che richiama alcuni concetti base della psicologia tedesca della percezione in termini di Gestalt Psychologie, ossia di una “totalità strutturata” in forma unitaria.
Vi sono anche da considerare gli aspetti tecnici di carattere forestale relativi al governo / gestione del bosco in una fase di re-inselvatichimento come l’attuale. Fase che vede l’avanzata veloce della vegetazione pioniera arbustiva ed arborea, soprattutto nelle zone a forte spopolamento (Bellunese, Cadore, valli friulane). Tali situazioni consiglierebbero l’adozione di pratiche forestali volte a favorire la crescita di boschi disetanei anziché coevi (fenomeni riscontrabili anche in aree di elevato pregio come le foreste di Paneveggio e Cadino in Val di Fiemme e di Carezza in Val d’Ega) o il contrasto alla monocoltura del “coniferamento” spinto in zone poste nella fascia periferica del sistema dolomitico più esposta a correnti temperato-umide e, quindi, meglio vocata alla faggeta o ad altre latifoglie più resistenti ed ecosostenibili.
Sotto il profilo del paesaggio socialmente condiviso sia dagli insiders (residenti), sia dagli outsiders (turisti), culturalmente interiorizzato dalle popolazioni valligiane, quanto accaduto può costituire un trauma psicologico ed uno shock culturale di difficile elaborazione e ricucitura, un vero e proprio «lutto della perdita» in senso simbolico ed esistenziale.
Come elaborare, allora, questo possibile lutto collettivo della perdita di un paesaggio che rappresenta, per le genti dolomitiche, l’orizzonte interiore della propria «Heimat»? Lo sforzo di ricostruzione di un territorio fragile come il nostro deve essere ripagato da una forte e partecipata fiducia in una rinascita in grado di correggere gli errori del passato. Difronte al carattere spettrale di talune immagini di devastazione si è portati a temere che possa insinuarsi, fra le popolazioni, quella “angoscia territoriale da spaesamento” che inibisce la capacità di riconoscersi in un territorio vissuto ed amato. In tal caso, verrebbe compromessa altresì la capacità di restituzione, da parte degli insiders nei confronti degli outsiders, di quel «bello da vedere» che si traduce automaticamente in «bello da pensare». Su tale equazione si fonda, ne siamo certi, l’immaginario dolomitico ed il suo corollario di «valore unico ed eccezionale» che la comunità mondiale gli ha conferito attraverso il riconoscimento di Patrimonio UNESCO.
Excelsior!
Ph. Pixcube