Cesare Lasen è fra i massimi esperti di botanica del nostro Paese, noto soprautto per il suo ruolo alla direzione del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi e per le numerose attività didattiche in cui viene coinvolto. Per la Fondazione Dolomiti UNESCO è membro del Comitato Scientifico. Abbiamo coinvolto il professor Lasen per una prima riflessione sull’evento meteorologico estremo che ha colpito le Dolomiti negli ultimi giorni.
Eventi disastrosi nelle Dolomiti:
il delicato ma vitale rapporto fra uomo e natura
a cura di Cesare Lasen
Gli sconvolgenti eventi meteorologici di questi giorni, che hanno originato lutti, sofferenze, apprensioni, ma anche tanti esempi di vitalità e solidarietà, sollecitano riflessioni profonde per evitare che prevalgano (come già segnalato dai media) reazioni di tipo emotivo che, per quanto comprensibili e a fin di bene, rischiano di produrre nuovi danni di tipo ecologico.
Sarà opportuno, infatti, interrogarsi sulle cause profonde e remote dei catastrofici eventi e sulle prospettive che si aprono per popolazioni montane già penalizzate da fattori orografici, ma anche da scelte di natura politica e socio-economica che hanno favorito altri interessi relegando la montagna, quella bellunese in particolare, a un ruolo marginale.
L’inserimento di estesi settori dolomitici nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO è avvenuto sulla base dei criteri riguardanti la storia geologica e la bellezza paesaggistica. Non v’è dubbio che l’effetto combinato di intense precipitazioni (che hanno innescato frane e alluvioni) e di raffiche di vento insistenti e senza precedenti (con interi versanti boscati divelti e resi irriconoscibili), abbia inciso sull’assetto e percezione del paesaggio.
Sappiamo che i processi naturali, e le successioni ecologiche possono contribuire a rimarginare le ferite, ma solo in tempi molto lunghi. In tal senso preoccupano alcune forme di interventismo che pensano alla ricostituzione del patrimonio boschivo attraverso reimpianto artificiale. Si dovrà avere un quadro molto più preciso dei danni subiti, capire quali formazioni sono state maggiormente colpite, valutare le vocazioni forestali sito per sito e la maggiore o minore distanza dei popolamenti distrutti rispetto a quelli più prossimo-naturali.
Ma la preoccupazione, non da oggi, riguarda lo scenario del cambiamento climatico e la possibilità che simili eventi possano ripetersi con sempre maggiore frequenza. Le responsabilità derivanti dai nostri comportamenti e consumi non sono un’opinione, ma un dato di fatto ormai insindacabile.
Converrebbe, a tal proposito, rileggere con attenzione alcuni passaggi dell’enciclica Laudato Si’ che non si limita a denunciare lo stato di sofferenza del pianeta, ma riconduce i dissesti ecologici a una crisi che è anche sociale, etica, globale e che origina sempre nuove disuguaglianze. Per continuare a vivere in questi luoghi, bellissimi ma fragili, necessitano misure adeguate che contribuiscano a restituire prospettive di speranza.
Ma serve, anzitutto, ripensare ai modelli di sviluppo, per assecondare le funzionalità ecosistemiche, senza la pretesa di costringere i torrenti in alvei ristretti, di costruire ovunque, di aumentare le emissioni di anidride carbonica e di altri gas che favoriscono l’effetto serra. Ciò significa agire anche sui consumi, pensare a ridurli evitando sprechi, a rinaturalizzare i corsi d’acqua piuttosto che a nuove arginature, a coltivare i boschi rispettando maggiormente la vocazione (impianto coetanei sono più fragili). Va rilevato che è falsa e fuorviante l’idea che i disastri siano dipesi dall’abbandono. Certo adeguate manutenzioni sono necessarie e auspicabili, ma dovremmo prepararci ad affrontare altri eventi con la consapevolezza che la Natura esige maggiore rispetto e attenzione.
Ovviamente si auspica che quanto prima vengano risolte le emergenze per assicurare i bisogni primari, ma va sempre privilegiata la ricerca del bene comune rispetto ai pur legittimi interessi privati. Per semplificare, continua ad aver senso pensare a nuovi impianti per lo sci alpino considerato l’attuale trend climatico? Siamo davvero sicuri che essi siano la panacea per promuovere nuovo sviluppo? E visto che le nostre acque sono già ovunque molto sfruttate ha senso insistere con nuove centraline?
Rispettare gli equilibri e le leggi degli ecosistemi naturali diventa il principio fondante di un nuovo approccio al nostro modo di utilizzare le risorse che il pianeta mette a disposizione e che, attualmente, sono anche alla base di profonde disuguaglianze.
In questo evento, a parte i morti e i disagi che richiederanno tempo e investimenti per un ripristino almeno essenziale, ha colpito la devastazione del patrimonio boschivo, manifestatasi in una misura senza precedenti (pur auspicando che la stima di 100000 ettari distrutti, corrispondenti alla metà dell’intero patrimonio boschivo provinciale sia un arrotondamento in eccesso). I danni risultanti, in attesa di un censimento preciso, sono paragonabili forse solo ai due eventi bellici del secolo scorso. Solo un senso di profondo rispetto, derivante anche dalle conoscenze scientifiche, ci potrà aiutare a individuare soluzioni per superare un quadro che non è ancora definito nelle sue dimensioni e nell’irregolare ripartizione geografica, ma che non lascia dubbi circa la sua origine e i nefasti risultati di scelte che hanno privilegiato risultati economici di breve periodo rispetto ai tempi richiesti dagli ecosistemi per rigenerare la loro capacità produttiva e di stabilizzazione. Non mancano, in proposito, correnti di pensiero che tenderanno a individuare le cause nell’abbandono e nello scarso sfruttamento del patrimonio forestale. Ciò significherebbe allontanarsi dalle cause reali e insistere ciecamente nelle forme tradizionali di sfruttamento, penalizzando sempre più le generazioni future, verso le quali stiamo indebitandoci forse irreversibilmente. Necessita, quindi, ripensare, anche con molta umiltà, il nostro stile di vita, la logica dei consumi, i principi sui quali poggiare la sempre sbandierata crescita, vista come unica panacea per poter star meglio anche quando i segnali sono inequivocabili e vi è certezza che le risorse del pianeta sono limitate e che insistere nel raschiare il barile può solo prolungare l’agonia.
Ph. Pixcube